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Pozzuoli, alla Sala Molière, ironia e intelligenza emotiva in “Faccere”, di Massimo Andrei

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foto di Ersilia Marano

Sabato 12 e domenica 13 aprile, al Teatro Sala Molière diretto da Nando Paone, è andato in scena “Faccere”, brillante scrittura teatrale di Massimo Andrei, diretta da Peppe Miale.

Con” Faccere”, il teatro si trasforma in un beauty center e in un confessionale, in un campo di battaglia e in uno spazio sacro. Valentina e Rosaria, due consulenti estetiche, sono le protagoniste di una giornata di lavoro tra massaggi e trattamenti, clienti e chiacchiere, che si trasforma in un’indagine profonda, ironica e pungente sull’universo femminile.

Ma lo spettacolo non si limita a raccontare loro due. “Faccere” è un mosaico di donne, un catalogo graffiante e spietato in cui ogni spettatrice può ritrovarsi, anche solo per un frammento. Donne che si prendono cura del viso, ma nascondono dolori nel cuore. Donne che si truccano per sembrare più forti. Donne che si sono perse tra ciglia finte e filtri emotivi.

“Donne tutte convinte di avere qualcosa di pregiato. Donne non sposate, divorziate o definite zoccole.”

“Eppure si curano. E nessuno le vuole.”

“La faccia è come quella scorza che dobbiamo curare.”

“Una verità ogni tanto la si deve dire.” (parola di Rosaria, che con la sua autenticità taglia il silenzio come un bisturi)

E così, tra battute affilate e verità scomode, si snoda una vera e propria enciclopedia del femminile:

le donne separate sono vendicative, le single sono prevenute, le zitelle, acide, le brutte, distruttive, piene di segreti, persino coi figli.

Uno degli elementi più riusciti dello spettacolo è il suo taglio contemporaneo, fortemente ancorato alla realtà di oggi. In un’epoca in cui l’immagine domina ogni ambito della vita — amplificata e deformata dai social —” Faccere” si inserisce con intelligenza e ironia in questo contesto. Oggi “apparire” sembra contare più che “essere”. Il valore passa dallo specchio e dallo schermo, e ogni imperfezione va nascosta, ogni debolezza camuffata. Il centro estetico diventa così il simbolo perfetto di una società che vive in superficie.

Eppure, lo spettacolo ci ricorda con forza che oltre all’immagine, c’è l’anima. Che è lì, nello spirito, che si annidano i veri bisogni.” Faccere” è un invito a tornare a sentire, a guardarsi dentro, a smettere di rincorrere approvazioni effimere per ritrovare sé stessi.

Perché — come viene detto in scena — “non fa male vedere, fa male sentire.”

In scena, questo tema prende corpo anche attraverso la rappresentazione del vuoto affettivo e della fragilità relazionale. Valentina, la filosofa, all’apparenza forte, spirituale, capace di godersi la natura e di parlare di interiorità con parole che sanno di poesia, si rivelerà una donna profondamente fragile. La sua filosofia è una maschera elegante, sotto la quale si nasconde una disperata in cerca di equilibrio.

Dall’altra parte, Rosaria, vera e diretta, non nasconde la sua debolezza: ha paura della solitudine, rincorre un uomo — Giovanni — per farsi sposare e rendere felici i suoi genitori. Anche lei è prigioniera del bisogno di essere scelta, desiderata, amata. Due donne diverse, ma ugualmente disperate, ugualmente umane.

A dar vita a queste due figure femminili complesse e sfaccettate ci sono Titti Nuzzolese, nel ruolo di Valentina, e Roberta Misticone, in quello di Rosaria, detta anche Rosi. Le abbiamo già viste insieme in altri spettacoli e anche stavolta confermano di essere un duo affiatato, perfettamente equilibrato. Sono l’una la spalla dell’altra, si sostengono, si contrastano, si completano.

Due attrici bravissime, capaci di passare con disinvoltura dal comico al drammatico, dal gesto ironico alla pausa carica di emozione. Ci hanno fatto ridere, ci hanno commosso, ci hanno fatto riflettere. La loro interpretazione è intensa, sincera, pienamente calata nei ritmi e nei respiri dello spettacolo.

In questo contesto si inserisce una figura delicata e simbolica: Guglielmo, il profumiere. Valentina lo racconta con tenerezza. Ha un negozio a Sant’Anna di Palazzo. È un uomo bizzarro, deriso nel suo quartiere perché “diverso”. Ma lui non urla. Lui ascolta. Sa entrare in sintonia con lo spirito delle persone e creare per ognuna la sua profumazione personale. Non vende solo essenze: compone identità.

“Il profumo è il fratello del respiro. Il profumo non si vede, si sente. Occorre sentire ciò che il nostro spirito ha bisogno.”

Guglielmo è l’anima nascosta dello spettacolo, la sua metafora più potente. Come lui, “Faccere” non vuole mostrare, ma far sentire. Non lavora sulla superficie, ma sul respiro profondo di ogni donna. Ed è questo il cuore del messaggio: per ritrovarsi, per conoscersi davvero, bisogna imparare ad ascoltare ciò che ci manca. Non basta truccarsi o sorridere. Bisogna sentire.

Il titolo stesso, “Faccere”, è una chiave di lettura importante: allude a quel doppio volto che ognuno di noi mostra. Da un lato, la facciata pubblica — truccata, forte, levigata — e dall’altro quella privata, autentica, fragile, vulnerabile.

E se l’unica felicità possibile passa attraverso l’amore che si dà e si riceve, allora forse la vera bellezza risiede proprio nell’accettazione di sé. Nell’amore per chi ci sta accanto. Persino per quella collega con cui si condivide gran parte della propria esistenza.

Le musiche originali di Mariano Bellopede amplificano tutto questo: un tappeto sonoro che si muove tra leggerezza e malinconia, tra brillantezza e profondità, accompagnando la narrazione come un profumo che rimane sulla pelle.

“Faccere” è più di uno spettacolo: fa bene allo spirito e al cuore. È uno specchio rotto in cui ogni donna — e ogni uomo che voglia ascoltare — può riconoscersi. È un viaggio dentro le crepe dell’anima, tra il desiderio di essere amate e la paura di non bastare. È un profumo raro, invisibile ma persistente. Come la verità. Come il dolore. Come la bellezza.

E se alla fine non vi siete ritrovati in almeno una di quelle donne…

Tranquilli: è solo perché avete dimenticato la regola fondamentale della vita — la crema notte non si spalma… si tampona.

Ersilia Marano

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