Archivi autore: Giusy Clausino

Napoli, al Sannazaro, successo per De(ath)livery di Andrea Cioffi

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foto di Ersilia Marano

Con *De(ath)livery*, in scena l’11 e il 12 novembre al Teatro Sannazaro nella rassegna “Prime di settimana”, Andrea Cioffi firma una black comedy lucida, cinica e sorprendentemente umana. Scritta, diretta e interpretata dallo stesso Cioffi, da un’idea di Sara Guardascione, la pièce è un ritratto feroce e irresistibilmente comico della generazione dei millennial, un affresco domestico che parte dalla sit-com per esplodere nel grottesco, nel tragico e nell’assurdo. Accanto a Cioffi, un cast compatto e brillante, composto da Sara Guardascione, Luigi Leone e Vincenzo Castellone. Lo spettacolo giunge al Sannazaro forte di riconoscimenti importanti: Premio Nazionale Città di Leonforte 2023 per miglior spettacolo, regia e attrice, selezione ufficiale FringeMi 2023, Semifinalista Premio Scenario 2021 e Premio Massimo Troisi 2024 per il Miglior Autore Emergente, risultati che confermano la solidità e la visione di un progetto che ha già lasciato il segno.

La scena è un appartamento che richiama le sit-com americane ma anche le tipiche case degli studenti italiani: un luogo sospeso, un rifugio e insieme un limbo, il primo capitolo di quella che Cioffi definisce “trilogia del divano”, in cui il divano diventa simbolo di immobilità emotiva, attesa, apatia e fragilità generazionale. In questo spazio vivono tre trentenni che incarnano tre diverse declinazioni dello stesso disagio. Emilio, interpretato da Vincenzo Castellone, è un eterno incompiuto: sono nove anni che tenta senza successo di completare la laurea in architettura, mentre nella realtà lavora nella compravendita immobiliare, mestiere che non ama e che lo svuota. È un uomo che si interroga di continuo sulla propria inconsistenza, fino a domandarsi, con amara sincerità: “Perché io non ho mai idee?”. Mara, interpretata con finezza da Sara Guardascione, è un’insegnante costretta a lavorare in DAD, travolta da una frustrazione sia professionale che emotiva. Il rapporto con Emilio è logoro, irrigidito, quasi meccanico: più una convivenza di necessità che una relazione amorosa. Jacopo, il medico interpretato da Luigi Leone, è invece la personificazione dell’ordine e della logica, ma proprio questa rigidità rivela presto una vena psicopatica nascosta, che si acuisce quando si innamora di Mara, scardinando la facciata di razionalità dietro cui tenta invano di proteggersi.

Lo spettacolo affronta senza veli anche il tema della sessualità e delle relazioni interpersonali. Tra i tre protagonisti nasce un ménage à trois fatto di tradimenti, desideri confusi e dinamiche di dipendenza. Cioffi mette in scena l’incapacità di questa generazione di riconoscere, vivere e capire l’amore: i rapporti non sono scelte ma rifugi, strumenti per non affrontare la solitudine. Le relazioni diventano gusci, stampelle emotive, gesti di sopravvivenza più che espressioni di affetto autentico. Questo intreccio di legami irrisolti e di paure sentimentali diventa un ritratto credibile e doloroso della società contemporanea, in cui si cerca connessione ma troppo spesso ci si smarrisce nella dipendenza.

A irrompere in questo microcosmo è il rider: Edmundo. Ucciso accidentalmente da un souvenir egiziano nel suo primo giorno di lavoro per la app Trust it, Edmundo torna come narratore, come voce che osserva dall’alto, come coscienza ironica e tragica insieme. Sospeso tra stand-up comedy e confessione, il suo sguardo sul mondo è uno dei punti più intensi della pièce. Nel suo monologo più potente accusa la superficialità della sua generazione: “I giovani non hanno più idee, ma fanno balletti; non esprimono opinioni, ma restano sul divano.” Racconta la sua prima infatuazione, la sua prima delusione, la frenesia della sua vita di consegne e algoritmi. È morto, ma è lui a muovere i fili narrativi dei vivi, lui a osservare la loro incapacità di crescere, di amare, di agire.

Il cast formato da Andrea Cioffi, Sara Guardascione, Luigi Leone e Vincenzo Castellone è straordinariamente affiatato: un ensemble che lavora a ritmo serrato, con equilibrio, precisione e una comicità controllata che evita l’eccesso e punta all’efficacia. Scene di Trisha Palma, costumi di Rosario Martone, luci di Andrea Savoia e musiche di Emanuele Pontoni contribuiscono a creare un ambiente che è insieme familiare e deformato, quotidiano e perturbante, perfetto per ospitare una black comedy così chirurgica.

E poi c’è il finale, uno dei momenti più simbolici e potenti dello spettacolo: tutti gli attori, vivi, morti, mezzi morti, o forse mai davvero vivi, ballano sulle note di Thriller di Michael Jackson. È un’immagine grottesca e magnetica, una metafora limpida e terribile: una generazione di “morti che ballano”. Morti che sorridono, che si muovono, che imitano una vitalità che non sentono più. Una generazione che non lotta, che non sogna, che non crede più nell’amore, nel lavoro, nella costruzione di qualcosa che duri. Una generazione che resta sul divano, che non reagisce, che lascia che la realtà la travolga. E nel gioco finale, in cui tutti i personaggi muoiono, lo spettacolo trova la sua parabola più radicale: la morte diventa allegoria di un’epoca che ha smesso di desiderare, di sperare, di immaginarsi un futuro.

*De(ath)livery* è uno spettacolo che fa ridere, e molto. Ma fa anche pensare, riflettere, interrogarsi. È un ritratto sincero e spietato della generazione Y, del suo smarrimento, dei suoi fallimenti e del suo bisogno disperato di non restare sola. Come un pacco consegnato sotto casa, questa storia ci arriva senza preavviso, e ciò che ci mette fra le mani è qualcosa di estremamente scomodo e fragile: la verità. Una consegna pesante, inevitabile, che non si può rifiutare. E lo spettacolo si chiude con una frase che è rivelazione, stoccata e sintesi perfetta del caos appena vissuto: “Questo deve essere Edmundo.”

Ersilia Marano

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