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Ruolo della donna, evocazioni, tradizioni, famiglia patriarcale, desiderio di libertà ed emancipazione, scenari suggestivi, vita rurale, destino, passione, religione e Provvidenza “manzoniana” sono alcuni elementi che caratterizzano la recente opera di Carmela Politi Cenere “Raccogliemmo more su per la collina” (Homo Scrivens ed.).
Il libro, che per l’ambientazione d’epoca presenta tutte le caratteristiche del romanzo storico, racconta una storia d’amore contrastata da un muro, come quello su cui metaforicamente s’avvinghiano i rovi di more: la rigida divisione delle classi sociali nella Napoli dei primi del ‘900.
Le scene e la trama si svolgono nell’amena collina di Posillipo, accarezzata da un lato dalla brezza e dal profumo del mare, dall’altro dall’opulenta campagna e dalla fitta vegetazione.
Le descrizioni sono vivide e sprigionano nel lettore e suggestioni immagini simili a fotogrammi di un film. Attraverso un linguaggio forbito, elegante, aulico, l’autrice entra nella vita dei personaggi, ne descrive il carattere, le azioni, le passioni e i dolori.
Il lettore si immedesima nei protagonisti, provando simpatia, empatia o sdegno: Angelina “’Ngiulinella”, Totonno, Don Gerardo, Stina, donna Minicuzza, Tore figlio del ricco farmacista don Gennaro, Nunziatina.
A fare da sfondo al susseguirsi di scene, dialoghi e azioni, è la Napoli poco prima della Grande Guerra, con le sue rigide regole familiari e sociali e la sua economia.
Il romanzo, ispirato alla vita della nonna materna della scrittrice, è certamente d’amore. Ma tra le pagine si respira anche l’impegno sociale, accanto al romanticismo.
Tra profumi della natura incontaminata, frutti succosi e dolci, fiori dai colori vivaci come su una tavolozza impressionista, processioni, feste popolari e religiose come quella di Sant’Antonio, animali da cortile e sapori della gastronomia napoletana come il ragù, la mozzarella, le braciolette, la parmigiana di melanzane, l’autrice offre un affresco di una Napoli ancorata non solo alle tradizioni, ma anche a rigidi schemi familiari e sociali.
La famiglia patriarcale, “…dove la donna era considerata al pari di un oggetto, dove le decisioni erano nelle mani del pater familias che impartiva …ordini…” imponeva le sue regole, così come le differenze sociali. I matrimoni erano dei veri e propri contratti stipulati dai genitori dei “promessi sposi”, senza tener conto dei sentimenti dei giovani. Ciò che contava era l’estrazione sociale, il patrimonio, la dote: gli elementi che definivano “un buon partito”.
La donna era relegata al ruolo di madre e angelo del focolare, dedita esclusivamente alla casa e alla chiesa, senza possibilità di ambire a una professione al pari degli uomini.
Nel romanzo emerge una ribellione a tali stereotipi imposti dalla società.
La collina di Posillipo, “luogo dove cessano i dolori”, con i suoi angoli incantevoli e la sua florida campagna, diventa l’emblema dell’élan vital, teatro della storia di ‘Ngiulina e Totonno. Le more che i due raccolgono e gustano sono simbolo di forza, dolcezza e difesa mentre il muro su cui si aggrappano i rovi spinosi rappresenta metaforicamente la rigida separazione tra le classi sociali, causa di sofferenza, dolore e desiderio di riscatto.
Non mancano arricchenti citazioni letterarie e descrizioni poetiche, vere e proprie liriche della Politi Cenere, che s’inseriscono nella tradizione romantica come: “Poco più avanti, un tiglio robusto emanava un profumo delicatissimo, che col suo ricordo respiro regalava ricordi”.
E anche veri e propri versi “mi regalasti una rosa, /era rossa come il fuoco/e ardeva nell’anima mia, / fragile d’argilla. /Ti amai senza riserve/ in un silenzio tenero/ di luna// Ti ritrovo tranquillo/ come allora, /mentre narri/la tua storia/ e la mia//.
Carmela Politi Cenere è una scrittrice colta e di grande spessore, dalla cultura poliedrica e dotata di una rara sensibilità che le consente di osservare con occhi “pascoliani” gli elementi della natura e del tempo, cogliendone le essenze interiori, sentimentali e metaforiche.
In lei convivono la fede e la forza dei sentimenti, attraverso la tempra di una donna tenace, volitiva ed emancipata.
Il suo romanzo, come gli altri, è un vero e proprio inno all’amore che sopravvive alla morte attraverso segni, presenze ed evocazioni. Un amore che “non è solo dolcezza, ma è anche sofferenza. Senza le spine pungenti dei rovi, l’amore non avrebbe sapore: sono le ferite che lo rendono prezioso. Le loro mani si cercarono e alla fine, quando si riunirono, il loro cuore ebbe un tuffo…”
Il libro si chiude con la rubrica “La stanza dello scrittore” che Carmela Politi Cenere dedica con un affettuoso e sentito ricordo a Domenico Rea a cui era legata da una solida amicizia.
Carmela Politi Cenere è la fondatrice dell’Associazione Culturale Emily Dickinson da cui è nato l’omonimo premio letterario giunto alla XXVIX edizione.
È autrice di numerosi saggi e romanzi più volte premiati come “Città nel caos” e “L’ombra di Masaniello vaga per Piazza del Mercato” (Ed. Graus) con cui ha ottenuto il Primo Premio assoluto per la narrativa, nell’edizione 2017 del “Premio I Murazzi, Don Saverio cavalca la Luna” (Ed.Graus) e per Homo Scrivens “Ti regalai le ali per volare” (2024).
Daniela Vellani