Gianfranco Coppola racconta i suoi progetti: “Improvvisazione Cantabile” e “Violoncello da Asporto”

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foto Daniela Vellani

Contrabbassista, classe 1983, nato a Napoli, Gianfranco Coppola è in possesso di un curriculum ampio, variegato e di indubbia eccellenza.

Diplomato nella classe di Contrabbasso Classico presso il Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella sotto la guida del M.° Ermanno Calzolari (primo contrabbasso al teatro San Carlo), da diversi anni si dedica al jazz. Contemporaneamente s’impegna con passione all’attività didattica con lezioni di basso elettrico e contrabbasso, ed ha avviato di recente una didattica del jazz che va sotto il nome di “Improvvisazione Cantabile”. I suoi insegnamenti, dal livello principiante a quello avanzato spaziano tra diversi ambiti musicali e si modellano sul desiderio musicale dell’apprendista.

Poliedrico e duttile, usa le corde dei suoi strumenti con competenza e originalità per accarezzare il sound di una molteplicità di generi musicali: dal Jazz al Funky, alla Bossa Nova, alla musica classica, alle musiche etniche. Ciò gli consente una grande apertura verso l’esplorazione di orizzonti musicali ampi e stimolanti, che confluiscono in progettualità interessanti e originali.

Recentemente ha avviato una nuova ed interessante esperienza musicale con il violoncello, che parte dall’arte in strada per arrivare a proporre concerti privati a domicilio, personalizzabili.

Benvenuto al nostro giornale.

Grazie per questa opportunità.

Giovanissimo, hai già alle tue spalle una carriera intensa e di altissimo livello.

 Il segreto sta tutto nel sembrare giovanissimo, poiché pare che li porto discretamente i miei 37 anni. Mi ritengo soltanto un uomo molto fortunato, che ha incontrato sul suo cammino persone di grande sapore, con cui si sono sviluppate naturalmente esperienze musicali di valore, in molti ambiti musicali. I due anni di permanenza a Berlino mi hanno formato prima come uomo, e poi come musicista.

Quando ti sei accorto che la musica sarebbe diventata parte di te?

In qualche modo è entrata dalla porta di servizio in adolescenza, come per molti ragazzi che nel periodo della scuola si avvicinano ad uno strumento, nel mio caso il basso elettrico, e si regalano le prime esperienze di musica rock insieme ad altri ragazzi. Nonostante fossi un figlio d’arte, non ho seguito la via canonica di essere iniziato alla musica in tenera età, magari studiando il pianoforte, e la musica ha occupato solo un ruolo marginale per tanti anni. La mia carriera musicale deve tutto al fatto di aver sbagliato clamorosamente la scelta universitaria, ed ora mi ritrovo ad essere un biotecnologo contrabbassista, una figura professionale di dubbio inserimento nel panorama lavorativo delle case farmaceutiche!

Scherzi a parte, il rapporto con la musica è stato complesso e tormentato, imbastito su tentennamenti e ripensamenti, e solo negli ultimi anni è fiorito in un modo radioso, con una bellezza oggi autoevidente, che non lascia più spazio ad alcun dubbio.

Una persona è stata fondamentale nel determinare le tue scelte. Vorrei che la nominassi tu per poi ricordare momenti importanti.

Sicuramente il primo fra i miei grandi maestri, ovvero mio padre Franco Coppola, sassofonista (sax alto) e flautista, che negli anni ’80 e ’90 si esibiva tutte le sere all’Otto Jazz Club con Antonio Golino (di cui abbiamo alcuni video sul canale youtube dedicato “Franco Coppola Sax“), ed è stato di ispirazione ai talenti nascenti quali Giulio Martino, James Senese e Marco Zurzolo, solo per citarne alcuni. Non posso negare che la sua statura di gigante musicale è stata nella mia vita ingombrante ed ha reso ancora più complesso il già nodoso rapporto fra un padre e un figlio. Se da un lato, infatti, egli ha seminato con amore il giardino che sta fiorendo oggi in me, a quattro anni dalla sua dipartita, è stato anche difficile relazionarmi con un uomo poco incline al comunicare ed estremamente perfezionista nell’arte della musica, del jazz in particolare. Il suo carattere, in fondo timido, non gli ha permesso di abitare completamente lo scenario della comunità dei jazzisti napoletani ed essere da faro per i giovani studenti. La sua posizione ritirata, dedicata tra l’altro all’insegnamento scolastico, ha lasciato un vuoto che non vede brillare molto materiale a suo nome, né in termini di discografie né in termini della trasmissione della sua concezione del jazz e dell’apprendimento di questo linguaggio. La cruda bellezza dell’esistenza ha voluto che fosse necessaria la sua scomparsa affinché io potessi iniziare ad amministrare lo sconfinato tesoro della sua eredità musicale, portando a termine l’opera musicale che egli, per via delle varie coordinate del suo periodo storico, non riuscì a completare.

Tra i grandi artisti passati e recenti quali sono stati quelli a cui ti sei maggiormente ispirato e perché.

Il contrabbassista Ray Brown è stato il mio riferimento più importante per il contrabbasso jazz, per via del suo modo di accompagnare con un walking bass robusto, pieno di personalità, che si assume la responsabilità totale della pulsione ritmica, al servizio del resto della band. Il contrabbassista americano Edgar Meyer, un virtuoso di musica classica aperto alla musica folk ed all’improvvisazione, mi ha sedotto per sempre facendomi innamorare del lirismo che con l’archetto anche un contrabbasso può realizzare in modo sorprendente.  In misura più o meno grande poi, tutti i giganti del jazz, così come gli amici con cui condivido la musica, hanno scolpito negli anni la mia personalità musicale. I grandi artisti della generazione precedente alla mia, quali il pianista Michele Di Martino di Castellammare, il chitarrista Alessandro Castiglione, il sassofonista Giulio Martino hanno in particolar modo ultimato il processo della mia formazione musicale, donandomi la trasmissione diretta di quell’energia incandescente di chi ha veramente compreso cos’è il jazz e che lo suona come si deve.

E a proposito di Maestri ne hai incrociati diversi che non solo hanno lasciato tracce indelebili nella tua formazione, ma con cui hai intrecciato collaborazioni, registrazioni, incontri live…

Il più significativo è stato Eyal Lovett, un pianista israeliano che conobbi negli anni di permanenza a Berlino. La prima volta che ci conoscemmo, ingaggiati entrambi per una big band di jazz moderno, commentò: “suonando con te ho sentito una grande connessione spirituale, e non mi succedeva da tempo”. Abbiamo suonato in tour in Germania, Scozia, Inghilterra ed Israele, ed ho partecipato alla registrazione dal vivo del suo terzo album Beyond Good And Evil, inciso nel 2018 a Lipsia e che è disponibile su Spotify per chiunque fosse curioso di ascoltare grande musica tradizionale israeliana riarrangiata con il gusto del jazz moderno. Eyal è già stato due volte in tour a Napoli, dove abbiamo suonato una volta con il batterista Leonardo De Lorenzo ed un’altra con Giuseppe D’Alessandro. Se non fosse stato per la pandemia, sarebbe sceso nuovamente a Napoli per tenere con me un Workshop sull’orecchio musicale nel jazz.

Se di fronte ad una situazione di emergenza sei costretto a salvare solo un disco, quale sceglieresti?

Salverei il disco Epigraphs di Ketil Bjornstad & David Darling (etichetta ECM), che tantissimi anni fa un caro amico, monaco di Bose, mi regalò durante una mia permanenza al loro monastero dalle parti di Torino. È un disco intimo, meditativo, incredibilmente evocativo, dove il violoncello viene suonato in modo arcano sulle armonie di un pianoforte delicatissimo, e l’ascolto di quel disco ha scritto in me la direzione del lirismo che negli anni a seguire avrei inseguito con il contrabbasso suonato con l’arco.

Il brano musicale che avresti voluto scrivere?

Sicuramente il mitologico So What, nel quale mi ritrovo molto per l’atmosfera aperta ed essenziale.

Ed ora parlaci dei tuoi progetti…

Il primo e più importante si chiama “Improvvisazione Cantabile”, ed è un libro che ho quasi ultimato, nel quale ho condensato l’esperienza musicale di mio padre e la sua concezione didattica, integrata con gli sviluppi della mia esperienza in prima persona di jazzista e didatta. Si basa su un approccio all’improvvisazione jazzistica che, anziché partire dall’applicazione di scale sugli accordi, fa leva sull’orecchio relativo, sull’immaginazione sonora interna ed utilizza massivamente la voce umana, il canto, portando a sviluppare sul proprio strumento musicale uno stile lirico e melodico. Dalla pubblicazione di questo libro mi auguro nasca un vero e proprio polo didattico, un cenacolo musicale di studenti desiderosi di praticare questo metodo e crescere insieme attorno a questa proposta. Sono già attivi percorsi didattici individuali per tutti gli strumentisti e cantanti, e se non fosse stato per la pandemia avremmo continuato con i Workshop dedicati all’orecchio musicale. Il primo appuntamento fu audace, poiché capitò la sera dell’8 marzo scorso, esattamente mentre Conte dichiarava zona rossa la Lombardia e gli animi di molti già iniziavano a tremare, mentre noi nel frattempo rispondevamo con la bellezza, assieme al grande chitarrista Alessandro Castiglione. Il prossimo appuntamento, non appena potremo tornare ad abbracciarci senza isterie, vedrà il pianista Michele Di Martino come ospite speciale.

C’è poi il secondo progetto che stai proponendo di recente, romantico e molto originale: “Violoncello da Asporto”, ce ne parli?

Con piacere! È la risposta creativa al disastro della paralisi del settore artistico in questo anno di Covid. Anziché compiangere la difficile situazione ed aspettare tempi migliori, ho deciso di rendermi operativo e sono sceso in strada a portare arte e bellezza, proponendo con il violoncello un repertorio di largo interesse, centrato attorno a canzoni famose, classico napoletano, colonne sonore, arie di musica classica ed altro. La risposta è stata entusiastica ed ho preso coscienza del fatto che stava accadendo qualcosa di importante, in quell’incontro umano con le persone. Osservavo infatti che, oltre alle offerte molto generose, ricevevo continuamente accorati ringraziamenti. Mi accorsi cioè che stava accadendo un rituale di condivisione dal raggio molto più ampio di quello che avessi immaginato. Compresi quindi che le persone soffrivano un forte inaridimento per via dell’isolamento e dell’impossibilità di abbeverarsi alla fonte dell’arte dal vivo, per un anno intero. Nasce così il Violoncello da Asporto (di cui esiste un omonimo profilo Instagram con diversi video, per chiunque fosse curioso), che colma l’amarezza di non potersi recare a teatro, nei locali, neppure a cinema. Se i palcoscenici sono reclusi, è l’arte che va direttamente a casa delle persone. È infatti possibile organizzare concerti privati completamente personalizzabili, in cui le persone scelgono i brani che vogliono ascoltare consultando un elegante Menù. Questa originale idea regalo sta facendo divertire molto le persone con sorprese e dediche, o anche semplicemente una cena da trascorrere in modo speciale. La formula dei concerti online mi permette poi di interagire con le persone che non si sentono ancora a loro agio nell’incontro di persona per via delle misure sanitarie, ma soprattutto persone che abitano in altre città o addirittura all’estero, magari incuriosite dalla cultura napoletana e desiderose di ascoltare i nostri classici.

Il tuo sogno nel cassetto?

Andare a suonare col violoncello qualche pezzo di Pino Daniele per gli abitanti del deserto…

Complimenti e un grande in bocca al lupo.

Grazie mille e complimenti per la vostra iniziativa!

 

Daniela Vellani

 

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