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Napoli, al Sancarluccio, successo per Gea Martire e Massimo Andrei, in replica fino al 28 febbraio

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Dall’11 al 28 febbraio 2016, è in scena, al Nuovo Teatro San Carluccio di Napoli, lo spettacolo “Non farmi ridere sono una donna tragica –  studio sull’amore inutile”, scritto, diretto da ed interpretato da Massimo Andrei, con Gea Martire.

“Non farmi ridere, sono una donna tragica” è uno studio sull’amore ‘inutile’ che vede in scena tre personaggi.
Lo studioso Carlo Rimetti (Massimo Andrei) che cerca di analizza l’amore vero, attraverso il comportamento  di Silvana (Gea Martire), il suo caso studio,  esemplare di donna tragica eppure comica, e  del giardiniere, Carmine, uomo innamorato dell’amore, che alla superficialità umana preferisce… i cactus.

Riuscirà il nostro studioso a capire perché le donne si innamorano sempre degli uomini sbagliati? Perché per Silvana l’amore è forte ed autentico solo quando la fa soffrire? È  possibile innamorarsi senza aspettarsi nulla in cambio? Una ricerca ‘platonica’ alla fine della quale lo stesso Rimetti si chiede se l’amore sia quella cosa per la quale, o senza la quale, si rimane tale e quale… Massimo Andrei, anche in questo spettacolo, affronta in chiave comica temi importanti della vita quotidiana.

Ma cerchiamo di capire lo spettacolo attraverso gli occhi dei protagonisti:

Come è nata l’idea di scrivere una storia sull’amore sofferto attraverso una lettura comica?

Massimo Andrei.: In realtà l’idea era più una visone ironica: ridere dell’essere tragico. Questo spettacolo nasce come una fotografia sulla donna che vive ogni aspetto della vita come una tragedia insuperabile. E quando si trova di fronte l’amore vero, va in crisi. La mia preparazione universitaria è basata su studi filosofici e quindi ho avuto un approccio filosofico rispetto all’amore. Secondo le varie teorie studiate, quindi, l’amore vero, così tragico, non può essere accettato poiché deve essere prestazionale.  “L’ammor nun po’ essere inutile.. a coccos adda servì” dice  uno dei protagonisti,  contrapponendo questo concetto ad alcune filosofie, una fra tutte quella di Platone, dove l’amore vero è senza secondi fini, ma fine a sé stesso.

 Regista e attore, da anni sulla scena teatrale, in quella cinematografica e in veste di autore, Massimo Andrei che cosa la appaga di più come artista  e cosa la rende felice come uomo?

M. A. : Io preferisco la regia e la scrittura perché mi esprimo di più rispetto all’interpretazione di un personaggio. Nella regia c’è il disegno di una scena, di una storia, mi fa esprimere di più e mi interessa di più. Però chiaramente, vengo da un passato e da un presente attoriale e quindi quando ne ho l’occasione mi cimento, ma mi appaga di più la pagina autoriale.

 

Cosa pensa di Silvana? Condivide la “visione tragica” che si ha delle donne innamorate?

Gea Martire.: Condividere proprio no e non vorrei condividere mai una visione tragica e sofferta della vita ed in particolare dell’amore. Però l’amore è una materia complessa, è una materia che tocca il cuore e c’è una battuta bellissima di uno spettacolo che ho interpretato di recente che dice “come è difficile toccare il cuore senza ferirlo”.  Il cuore che a volte è sofferente, graffiato dagli eventi della vita. Certo a teatro spesso si usa mettere in scena personaggi eccessivi come la nostra Silvana ed il “Ciardiniere” interpretato da Massimo,  dove Silvana ha il piacere del dolore; ma è un aspetto che spesso nel pensiero femminile così complesso e così delicato, lo ritrovi e lo riscontri. La donna non ha il senso del piacere così come il maschio, questo è un fatto culturale, cattolico, che ci portiamo dietro da secoli. Lei non riesce ad abbandonarsi al piacere carnale, si contiene, si trova più dignitosa nella sofferenza che non nel piacere sfrenato. Il piacere viene troppo spesso giudicato, il dolore viene apprezzato – fa tenerezza.

 Nella sua brillante e lunga carriera di attrice qual è stato il personaggio che ha sentito più vicino e quale quello che le è costato più fatica interpretare?

G. M.: Negli ultimi anni, ti parlo ormai di parecchi anni, faccio spettacoli che scelgo io , che decido io. Ho fatto alcuni monologhi di cui mi sono occupata anche della scrittura ed in particolare quelli che ho fatto con Antonio Capuano che ha curato la regia e con il quale a quattro mani abbiamo scritto dei monologhi sono personaggi che erano nella mia testa, voluti, scritti e che desideravo vedessero la luce ed avessero una vita sul palcoscenico. Sono personaggi che erano dentro me e che sono usciti fuori, mi riferisco al monologo che si chiama “Mulignane”  oppure a “La storia di Gigì” e l’ultimo portato in scena lo scorso anno intitolato “Vulìo” questo è un personaggio che ho pensato e perfezionato insieme a Massimo Andrei che ne è l’autore.

D.: Ha lavorato anche nel cinema con Ozpetek, Vanzina, Lucchetti, tra questi due amori: il cinema e il  teatro, quale preferisce

G. M.: Il teatro.  Perché il teatro ti fa veramente protagonista. Non nel senso che tu sei protagonista in scena, puoi anche fare un piccolo ruolo ma quel piccolo ruolo è il tuo, rappresenta tante cose ed è nelle tue mani. Nel cinema sei sempre  nelle mani di una macchina, di un montaggio, di un regista, di una decisione altra che tu non capirai mai qual è. Quello che tu fai, alla fine, non ti viene reso, è tutta un’altra cosa diversa e stravolta. Il teatro invece ti dà esattamente quello che tu dai.

 

“Non farmi ridere, sono una donna tragica” è uno spettacolo prodotto e distribuito da Tappeto Volante, primaria società di produzione teatrale riconosciuta dal Ministero dei Beni Culturali e dalla Regione Campania, con al suo attivo Grandi Eventi di Turismo Culturale.

Paola Improda