Napoli, al Bolivar, bella atmosfera e grandi emozioni per “Un gioco fatto con le noci”

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foto di Ersilia Marano

La scrittura teatrale di Martina Zaccaro è, ormai, facilmente riconoscibile. Ce ne accorgiamo, infatti, attraverso il linguaggio, la costruzione dei personaggi, la delicatezza con cui si avvicina a temi difficili senza mai cadere nel didascalico o nel pietismo. È una firma autoriale che si distingue per la sua autenticità, per l’uso poetico della parola e per un’interpretazione sempre intensa e necessaria.

Dopo aver affrontato lo scorso anno il tema della disabilità con lo spettacolo “Lucciole”, Martina Zaccaro torna sul palcoscenico con  lo spettacolo, “Un gioco fatto con le noci”, e questa volta pone al centro della scena la follia, o meglio, ciò che la società definisce tale. Ancora una volta, la sua arte è un abbraccio lucido e potente alla fragilità umana, trasformata in bellezza teatrale.

Lo spettacolo, andato in scena al Teatro Bolivar di Napoli, dal 22 al 23 marzo,  si svolge all’interno di una struttura psichiatrica. Qui tre donne condividono uno spazio che, da gabbia, diventa lentamente rifugio. Le protagoniste — Nina (Titti Nuzzolese), Antonia (Roberta Misticone) e Luce (Martina Zaccaro) — non sono solo pazienti: sono vite sospese in cerca di ascolto, ma soprattutto donne che diventano sorelle, complici, presenza e cura l’una per l’altra. In un mondo che le etichetta come “diverse”, loro si riconoscono nella fragilità reciproca e scelgono di restare.

Tra loro si crea una rete invisibile ma potente di affetto e protezione. Non c’è pietismo, ma un’umanità sincera che si fa forza: l’una è il sostegno dell’altra, in una catena di cura che sovverte i ruoli tradizionali. A volte è Nina a reggere Antonia, a volte è Luce a salvare entrambe con una frase spiazzante o con un gesto inaspettato. Quella che si delinea è una vera sorellanza, capace di trasformare la solitudine in legame, la paura in fiducia.

Altri due personaggi si inseriscono con delicatezza all’interno dello spettacolo: un giovane medico, (Antonio Ciorfito), e la sorella di Luce, interpretata da Milena Pugliese. Indelebile la scena in cui il medico danza con Luce: non è una danza reale, ma un frammento onirico, quasi un ricordo o un desiderio, in cui i corpi si avvicinano nel linguaggio silenzioso dell’empatia. Un gesto che sospende la diagnosi e restituisce a Luce la sua umanità, fatta di emozione e presenza. La sorella entra invece attraverso un laboratorio di scrittura, dove le parole diventano strumento di incontro. Con delicatezza, apre uno spazio poetico in cui Luce, Antonia e Nina possono raccontarsi senza paura, lasciando emergere ciò che le abita: verità profonde, fragilità, forza. È la sorella di Luce a rappresentare il peso di chi l’ha esclusa e dimenticata, rompendo il legame familiare.

Luce, la più eterea e intensa, rompe più volte la barriera tra palco e platea:

“Ma voi… avete paura di noi?” – domanda che arriva dritta al petto.

E ancora: “Hai sentito il drago?” – evocando una creatura interiore che divora, spaventa, ma che forse protegge.

Il titolo stesso,” Un gioco fatto con le noci”, racchiude una metafora chiave:

“Le noci sono come le teste. Dure fuori, fragili dentro” – dice una delle protagoniste, offrendo una chiave di lettura potente e semplice. La mente, come una noce, è un mistero da trattare con rispetto e delicatezza.

C’è poi un elemento che rende la figura di Luce ancora più significativa: Martina Zaccaro (nelle vesti di Luce) è cieca, e porta in scena la sua condizione con grazia e autenticità. Non lo fa come mero atto dimostrativo, ma come naturale estensione della propria identità artistica. Una delle frasi che pronuncia risuona allora con un’intensità unica:

“A volte è più gradevole vedere al buio.”

Un’affermazione poetica che ribalta ogni preconcetto e ci invita a guardare oltre la vista, oltre l’apparenza.

Un momento di grande intensità arriva quando anche il personale della struttura – medici, infermieri, operatori – lascia cadere le maschere. Quelli che sembravano avere il controllo, o una risposta per tutto, si mostrano nella loro verità. Alcuni di loro svolgono quel lavoro per necessità, altri per dovere, altri ancora con passione, ma tutti – in un modo o nell’altro – rivelano sogni abbandonati, desideri soffocati, vite parallele che avrebbero voluto vivere. Anche loro, sotto il camice o dietro una cartella clinica, nascondono fragilità, rimpianti, umanità. Lo spettacolo così abbatte ogni gerarchia tra sano e malato, tra chi cura e chi è curato. Tutti, nel profondo, cercano lo stesso: essere visti, essere ascoltati, essere compresi.

E poi arriva la frase che forse più di tutte condensa il messaggio dello spettacolo, pronunciata da Luce:

“Le cicatrici non vanno coperte. Le cicatrici si devono vedere.”

Un invito a mostrare, a non vergognarsi delle proprie ferite. Perché ogni crepa è un punto di luce.

La regia di Zaccaro è essenziale, ma mai spoglia: ogni dettaglio è carico di senso. Le luci raccontano ciò che le parole non dicono, gli spazi diventano emozione. Le tre attrici – Nuzzolese, Misticone e Zaccaro – sono straordinarie nel dare corpo e voce a personaggi che fanno ridere e commuovere, mai stereotipati, sempre vivi.

Il pubblico ha seguito con attenzione quasi religiosa, rispondendo con applausi sinceri e, più di tutto, con silenzi carichi di empatia.

“Un Gioco fatto con le noci”, non è solo un spettacolo teatrale. È un abbraccio tra anime inquiete, una riflessione profonda sulla fragilità, sull’amicizia, sulla libertà. È il racconto di una follia che, forse, è solo un altro modo di sentire il mondo.

E se la mente è fragile come una noce, allora la poesia e la letteratura — come ricordano le protagoniste — possono aprire varchi proprio nelle nostre fratture emotive.

“La fortuna favorisce i folli”, affermano sul palco, ribaltando con ironia e consapevolezza ogni stigma.

Perché, alla fine, i veri pazzi non sono dentro le strutture, ma fuori. Fuori, dove la normalità spesso non contempla l’ascolto, la cura, la solidarietà.

Dentro, invece, tra quelle pareti, si costruiscono legami che salvano.

E il teatro, in tutto questo, diventa non solo specchio, ma medicina.

Ersilia Marano

Un gioco fatto con le noci

di Martina Zaccaro

con

Titti Nuzzolese

Roberta Misticone

Martina Zaccaro

Milena Pugliese

Antonio Ciorfito

Mario Chiurazzi

Teresa Costanzo

Silvia Nardi

Dino Polito

Carmen Serio

Giulia Toscano

Disegno luci, spazio scenico e regia sono di Martina Zaccaro

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