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In uscita il 12 aprile su tutte le piattaforme digitali il podcast Demons dell’artista napoletano Maldestro (nome d’arte di Antonio Prestieri). Distribuito da Sony e aiutato dal suo team, Maldestro dopo musica e teatro si addentra per la prima volta nel mondo dei podcast con un’idea originale, intervistando, in ogni episodio, un personaggio diverso.
Demons nasce da un concetto semplice, quello di scavare all’interno delle persone per incontrare i propri demoni. Essi sono ovunque, insediati in ognuno per rendere l’uomo vero con le sue sfumature di “oscuro”. I demoni sono le paure che accarezzano gli obiettivi della vita, ma anche i fantasmi delle azioni.
Maldestro indaga sui demoni in un’esperienza che va oltre il podcast e le interviste, realizzata, al microfono, con ospiti scelti per dialogare e scovare insieme cosa c’è oltre ogni storia individuale. I nomi degli ospiti saranno svelati di volta in volta, per scoprire cosa si cela dietro le storie di persone all’apparenza diverse come un’atleta olimpica, un influencer musulmana o un politico.
Per sapere cosa hanno in comune gli ospiti di Demons o cosa ha portato Maldestro a realizzare il podcast, abbiamo realizzato un’intervista con lui.
È in uscita il tuo primo podcast, Demons, dal 12 aprile su tutte le piattaforme streaming. Com’è?
Sono felicissimo, è un progetto in cui credo tantissimo e sono stati quattro mesi di lavoro intenso. Non ci abbiamo messo niente a realizzarlo con il team che ha lavorato con me: Rosaria Vitolo, Nicola Galiero, Marcello Raimondi, presidente del circolo Teatro Arcas, e, ovviamente, il Teatro Arcas che è il luogo dove ho potuto registrare l’intera stagione del podcast. È veramente un progetto in cui credo molto perché le persone che ho incontrato sono incredibili: personalità dello spettacolo, dell’arte, della politica, del giornalismo d’inchiesta, della cucina. Insomma mi sono fatto delle chiacchierate molto intense, che non sono delle interviste ma delle chiacchierate autentiche dove cerchiamo di analizzare i demoni interiori che ognuno di noi si porta dentro: portarli fuori, cercare di condividerli. Credo che condividere i propri demoni con qualcuno è già un passo per poter, non annientare, ma conviverci e conviverci bene.
Prima di arrivare a questo, l’idea nasce 4 mesi fa, com’è partita? Perché proprio demoni?
Avevo intenzione di fare un podcast già da qualche anno, prima che esplodesse il fenomeno, poi ho avuto i miei tempi e sono stato impegnato su altro. L’idea è arrivata perché volevo raccontare la profondità dell’animo umano, quelle cose che non si dicono in società per paura di sembrare fragili, fuori luogo. Insomma viviamo in una società in cui siamo abituati a portare delle maschere per “vivere bene”, anche se non si vive bene perché quando non sei te stesso non stai mai bene e raggiungi un livello di pace e di serenità solo quando arrivi ad essere realmente te stesso. Demons vuole solo cercare di raccontare le proprie paure, le proprie fragilità, tutto quello che fa parte del nostro mondo interiore, del nostro “mondo buio”, perché è un mondo che ci appartiene e ci può dare tanta luce per analizzare quello che abbiamo dentro. Questo podcast è nato proprio per confrontarsi con altre persone, le quali vivono sotto i riflettori, almeno per quanto riguarda la prima stagione, per capire sulle loro carriere, vite, lavoro, arte. Capire come convivono col loro demone. L’idea è questa: cercare di portare alla luce i demoni degli altri affinché l’ascoltatore possa riconoscersi nel demone di qualcuno e perché no, possa affrontarlo grazie alla loro storie.
Per te chi sono i demoni?
Per me i demoni possono essere tanti, sono tanti. Nel mio caso può essere il rapporto col tempo, la morte, la società. Sono demoni nella mia vita abbastanza presenti, con i quali combatto ma con cui spesso arrivo ad un accordo di pace per andare avanti. Ho imparato nella mia vita a cooperare coi miei demoni, a non scacciarli via perché più li scacci, più tornano. L’unico modo è quello di metterli sotto al braccio e parlarci. È un grande passo per poterli accettare, accoglierli.
Pensi che quindi possa coesistere il rapporto tra demone e se stessi?
Assolutamente, è imprescindibile. La vita ha senso perché esiste la morte, il bene ha senso perché esiste il dolore, quindi il demone ha senso perché esiste la bellezza.
Un rapporto inverso tra quello che c’è di reale fuori e quello che è sempre reale, ma è oscuro.
Si, ma è realissimo in egual modo. È oscuro perché viene visto così e ci hanno insegnato a vederlo in questo modo e a nasconderlo sotto il tappeto. Per questo alla domanda “come stai?”, il 99% risponde “tutto a posto, a te?”, quando in realtà niente è tutto a posto, perché si ha paura di dire quello che in realtà si sente e l’altra persona ha paura di ascoltare il tuo demone. Invece io penso che condividerli potrebbe essere molto utile.
Come hai scelto le persone all’interno del podcast?
La prima scelta è stata molto personale. Ho scelto personalità che davano delle sensazioni a me, e in un certo senso già seguivo perché le ammiravo e avevo nei loro confronti stima. Infatti la prima stagione è realizzata in 8 puntate con personalità completamente diverse tra loro: ho incontrato una campionessa olimpica, un giornalista d’inchiesta, un politico italiano, uno chef milanese, un artista di murales, uno speaker radiofonico, un influencer musulmana, un’attrice meravigliosa. Tutte mi hanno dato la sensazione di anima profonda, di persone che hanno attraversato, per affrontare il loro lavoro, momenti particolari e intensi nella loro vita. È un viaggio a 360 gradi tra anime diverse tra di loro, ma con l’intento di comprendere dentro ognuno cosa si smuove.
Ora che è passato del tempo e quindi il podcast è finito, cosa hai trovato in comune in ognuno di loro? Qual è il demone che secondo te li accomuna?
Il demone comune che ho trovato è il tempo che corre, ossia la paura di affrontare il tempo, quindi l’invecchiamento, il salutare a un certo punto questa vita è un demone ritrovato in diverse persone che ho intervistato. Un altro demone in comune riflette la paura, l’inadeguatezza, l’insicurezza. Questo perché sono convinto che i sentimenti degli esseri umani siano identici: cambiano le storie, le esperienze di vita, ma il senso di colpa che io provo è uguale al tuo senso di colpa, magari per due cose diverse, ma il sentimento dentro, l’angoscia, l’ansia, la fragilità, la paura di morire, sono tutti sentimenti che ci accomunano. Quindi come fanno le persone a non comprendere questa cosa così semplice?
Cosa hai trovato in comune con loro?
Ho trovato in comune con loro la voglia di combattere, la voglia di portare alla luce la verità e di mettere a repentaglio pure la propria vita o il proprio benessere personale per arrivare alla verità.
Si può dire che mentre stavi lavorando a questo progetto, anche tu ragionavi ed eri nel pieno di un percorso?
Assolutamente, ma forse nasce per questo motivo: mettere in gioco se stessi prima di tutto. Quello che faccio io è proprio questo. In tutte le relazioni quando incontro una persona nuova di cui mi interessa il suo pensiero, la sua storia, io sono il primo che scopre le carte e a mettere in gioco me stesso per dare all’altro la possibilità di aprirsi con serenità. Se di fronte a te, vedi una persona che si apre e non ha nessun tipo di giudizio verso di te, ma solo accoglienza, la persona è più ben disposta a parlare e a confrontarsi.
Certo, è una cosa completamente diversa. Soprattutto, tu nasci con la musica, col teatro, hai fatto altro che possiamo dire è ben differente dal podcast, come la vivi?
Ma io la vivo bene, sono gli altri che la vivono male. Nel senso, io ho molti interessi nella vita. Io parto col teatro, con la musica, ho fatto tante cose nella mia vita e solo oggi sono arrivato al podcast. Ho tanti interessi e tanti modi per esprimermi. Se io posso esprimermi attraverso un podcast, o una canzone, o attraverso un’opera teatrale, se dentro ho quel fuoco che mi spinge a farlo, lo faccio. Non ho nessun problema, canone o categoria. Non mi è mai piaciuto essere messo in una categoria, eppure il grande pubblico mi ha conosciuto come cantautore: ma io sono Antonio, faccio il cantautore, faccio i podcast, faccio l’attore, faccio il regista, ma io sono Antonio, e in quanto tale, ho tantissimi interessi che voglio esprimere e con i quali giocare e vendere, anche perché è il mio lavoro. Le cose possono convivere tra di loro. Tra l’altro nel podcast ho trovato questa dimensione ideale perché posso mettere insieme tutte le mie competenze. Le mie arti che sono la musica, la scrittura, il teatro, quindi la voce e il podcast mi permette non solo di parlare e quindi usare la voce, non solo raccontare e quindi fare l’attore, non solo di mettere la musica e crearla per il podcast e fare quello che è sempre parte del mio percorso artistico: è veramente forse il prodotto più completo, il contenitore nel quale posso mettere e far convivere tutte le mie arti.
Sono due dimensioni differenti, quali sono le differenze tra parlare per intervistare e parlare per esprimersi, quindi cantare, esibirsi.
È completamente diverso. Parlando per intervistare ho compreso dei meccanismi che a volte sono necessari e inevitabili per raccontare delle storie. Anche se possono andare a minare delle situazioni, e per non fare gli errori che sono stati commessi con me, ho cercato sempre di essere delicato, di essere sereno, di non avere nessun tipo di giudizio verso la persona che andavo ad intervistare e di cercare di raccontare quel sentimento che io magari avrei raccontato in un altro modo. Attraverso l’intervista posso cercare di comprendere il più possibile il pensiero umano della persona che intervisto, diversamente quando racconto il mio punto di vista e poi lo rendo arte. Lì è ancora un altro processo, perché ho un pensiero poi lo trasformo in qualcosa di artistico, quindi lo amplifico oppure lo deformo, è proprio questa la bellezza dell’arte: poter prendere qualcosa e farla diventare qualcos’altro.
Pensi che ci sarà un continuo di questa cosa?
Già lo sto realizzando. Non è ancora uscita la prima stagione e sto già lavorando alla seconda.
Quali sono le tue speranze?
Speranze non ne ho, non credo nelle speranze, penso sia una parola per perdenti, il mio obiettivo è quello di arrivare a più persone possibili. È l’unico obiettivo che ho e per farlo, non devi sperare, devi lavorare.
Roberta Fusco