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Un incontro tra Franco oppini e i giovani attori della provincia di Caserta. È l’iniziativa organizzata dal Drama Teatro Studio di Curti, per creare un dialogo formativo dedicato alla figura attoriale.
L’evento, è stato pensato da Rosario Copioso, attore, coach e direttore artistico del teatro off di Curti (Caserta), come occasione di confronto e apprendimento per gli attori e le attrici in formazione presso il Drama Teatro Studio. Un workshop della durata di un giorno, articolato in due momenti, uno introduttivo in cui Oppini ha raccontato la propria esperienza professionale e risposto alle domande ed una seconda trance che ha visto sul palco gli allievi per un feedback attoriale. Tra i monologhi presentati: “Ti ho mai dato la definizione di follia interpretato da Luigi Cosimo Alberico, Davide Palumbo con “Minuti Contati” (testo di Valerio chiodelli), Gennaro Angellotti con “Donne” e Caterina Mingione con “Colpevole” (testo di Davide Palumbo).
Oppini, ha raccontato il proprio rapporto con il mestiere dell’attore, rievocando aneddoti e dietro le quinte della propria esperienza artistica. Una persona dalle spiccate doti umane, che ha catturato l’attenzione della platea senza mettersi in cattedra, con un dialogo aperto sulla costruzione del personaggio, sulla tecnica e sul “gioco” attoriale, che ha permesso agli allievi in sala di raccogliere informazioni e costruire una prospettiva critica sul mondo dello spettacolo attuale. La tecnica dell’ascolto, l’immedesimazione e la resa realistica della battuta, sono alcuni degli strumenti toccati dal discorso di Oppini sull’ artigianalitá del lavoro attoriale, che definisce «una bellissima condanna».
Nel contesto della provincia di Caserta, l’offerta culturale e formativa proposta
dal Drama Teatro Studio, consente da anni a ragazzi e ragazze di esprimere e scoprire il proprio potenziale artistico rimanendo sul territorio. L’incontro con Franco Oppini, fortemente voluto dal coach e attore Rosario Copioso, è parte di un progetto piú ampio di eventi riservati agli allievi del Drama con personaggi dello spettacolo.
«Chiamarmi artista mi riempie di orgoglio e di paura, perché ‘artista’ è un termine pesante da avere sulle spalle, direi un artigiano dello spettacolo, ecco preferisco chiamarmi così. Per tutta la vita si cerca di fare un mestiere artigianale, arrivare ad essere un buon artigiano e gia una buona conquista.» Esordisce così Franco Oppini quando viene presentato, con un’umiltá che denota immediatamente tanta umanitá ed una verve naturale. È una persona che sa mettere l’interlocutore a proprio agio e il pubblico se ne accorge.
Lei pensa ci sia artigianalità nella costruzione del ruolo attoriale…
«Certo, perché battuta dopo battuta c’è uno studio. Bisogna entrare psicologicamente nel personaggio, cercare di uscire fuori con quel personaggio, cercare di dare emozioni, se il testo ti emoziona. Mi è successo proprio prima del lockdown, c’era un testo su Gianni Rodari, in cui si parlava di suo padre, – Oppini interpretava Rodari- toccava delle corde talmente sensibili sul rapporto padre/figlio, che non riuscivo a farlo. Ho dovuto impiegare una settimana per scioglierlo, per digerirlo, prima di poterlo fare. Quando trovi un pezzo così ti rendi conto che è un lavoro artigianale, come fare Pinocchio da un pezzo di legno, scavando pian piano, trovando l’anima, le emozioni. E sembra proprio che nasca un tuo figlio.»
Le e mai capitato di trovarsi nella situazione di trovare un personaggio troppo distante da lei per interpretarlo?
«Non mi è mai capitato, perché se ti capita un personaggio ostico e lì il divertimento. Non bisogna cercare di recitare i ruoli che ti sono piu congeniali, altrimenti divnti un clichè. A me è capitato di interpretare un personaggio di una cattiveria morale, filosofica, uno che ti uccideva scavando nelle tue paure più profonde, per approfittare di te. Era di una cattiveria che mi lasciava il segno quando provavo. Un personaggio così fatto da me, che soprattutto nel passato ero considerato un comico, che il pubblico apprezza, è una bellissima rivincita in un certo senso. È bello che si possa fare il comico, il serio, il drammatico, il perfido, il burbero.»
È una questione di costruzione e decostruzione, il lavoro sul personaggio…
«Certo, bisogna provare un’emozione e provandola deve arrivare al pubblico. Mi è capitato in una scena di farmi prendere troppo dall’emozione. Nella scena in questione moriva un figlio e in quel momento mi sono dovuto fermare, per poi riprendere la battuta. L’artigiano deve avere una tecnica precisa, deve avere gli strumenti e soprattutto essere bravo a farne una verità e a portare avanti le emozioni con la tecnica. La tecnica professionale passa attraverso le emozioni per dare una fruibilità al personaggio.»
Durante il Covid c’è stato un momento di fermo per il settore artistico, come si fa a recuperare la naturalezza e l’artigianalità dell’attore dopo una situazione del genere?
«Mi sono trovato molto spiazzato quando ho ripreso la commedia, per una settimana non riuscivo a ingranare, non riuscivo ad avere la voglia di ingranare. Gli attori sono anche dei pigri, è per questo che scelgono un mestiere in cui si dorme la mattina. La pigrizia della parentesi sedentaria, abitua ad essere contemplativi. Io durante il primo lockdown avevo tre spettacoli da mettere in scena contemporaneamente e per tre mesi ho continuato a ripassarli, poi quando hanno riaperto i teatri hanno continuato a non lavorare, erano chiusi. È molto faticoso entrare nel concetto di ripartire.»
Adesso come sta andando la ripresa e quali sono i nuovi progetti?
«Sono stato in giro con l’anfitrione di Plauto con Debora Caprioli e regia di Livio Galassi, quindi ho già riassaporato le tavole del palcoscenico. Riprendere un’invernale nei teatri al chiuso è diverso, perché lo spettacolo all’aperto dà la possibilità di avere il pubblico sparso, è una specie di festa del teatro. Ma riprendere nei teatri al chiuso ti dá l’impressione di riprendere sul serio. Quindi riprenderò uno spettacolo di due anni fa che si chiama ‘Cocktail per tre’, è una commedia divertente, sarcastica, grottesca, all’improvviso c’è un salto nella sceneggiatura fantastico, che mi ha convinto a farla. Poi riprenderò a Marzo con l’Anfitrione. Partiremo alla grande con tutto, ma la macchina va oliata e ci vuole un po’ di tempo.»
Cosa direbbe ai giovani che vorrebbero intraprendere la carriera cinematografica o attoriale?
«Intanto che non bisogna pensare a fare la carriera cinematografica o teatrale, ma a fare l’attore a 360 gradi. Bisogna sí cambiare il file, quando si vuole fare l’attore in teatro, c’è una tecnica per fare cinema, una per fare televisione, quindi non bisogna settorializzare, ma essere pronti a fare tutto. Soprattutto attualmente è importante saper fare tutto, cantare, ballare, studiare e conoscere l’inglese, perché sempre piú spesso le produzioni fanno i provini in inglese e i giovani devono avere quest’arma in piú. Prepararsi, essere pronti, perché è un mestiere che quando lo fai è bellissimo, quando non lo fai ti manca ed è difficilissimo.»
Assistere al racconto di un’ esperienza di una vita in teatro è probabilmente la piú stimolante delle fonti di apprendimento a disposizione di un giovane attore e di chiunque si trovi a beneficiarne. Franco Oppini ha raccontato in prima persona cosa voglia dire calcare le assi del palcoscenico con una sensibilità spiccata per l’umano ed una grande intelligenza emotiva.
A fine giornata Oppini conclude così il suo discorso, con un’enfasi sul futuro del teatro, dicendoci che« Il teatro è attivo e socializzante. Vuol dire togliere i ragazzi che non sanno cosa fare dalla strada. Ben venga quindi il teatro che aggrega, il cinema fatto con poco, che va sul web, ma che dà possibilità ai giovani di rendersi visibili.»
di Silvia Barbato