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Ciro Pinto e l’ossigeno letterario di “È finita”
Un romanzo che va oltre il genere, tra raffinatezza stilistica e profondità psicologica
Quando leggi un romanzo di Ciro Pinto, respiri una boccata di ossigeno letterario.
Succede a ogni pagina, man mano che ti immergi nei personaggi e nelle loro storie.
Anche la sua opera più recente conserva questa cifra distintiva.
Si tratta di “È finita – Tornano gli ispettori Gatti e Sossio”, sequel di “Ti credo” ( Collana Nero 34 Tralerighe libri, di Andrea Giannasi).
Il romanzo è avvincente e ti conquista fin dalle prime battute. Il ritmo incalza, le parole scorrono con raffinatezza, e un lessico forbito e ricco alimenta suggestioni e bellezza artistica, regalando al lettore immagini vivide ed emozioni autentiche.
Scene, dialoghi, descrizioni, flash back ed evocazioni si fondono armoniosamente in un puzzle narrativo di incastri sapientemente e coerentemente costruiti.
Non mancano citazioni letterarie interessanti, che, anche in questo caso, si inseriscono con naturalezza nella trama, diventando elementi preziosi e veri e propri punti di riferimento nell’indagine.
I due protagonisti, Irene e Stefano, condividono l’amore per i classici della letteratura. Questo elemento li caratterizza, li unisce e fortifica il loro legame.
Un romanzo in particolare, “Il maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, più volte compare nei meandri della storia, divenendone il fil rouge: “Forse l’invenzione è spesso più reale. Dici: Che c’entra Il maestro e Margherita? In verità, proprio nulla. Ma in questo caso c’è quella stessa torbida ambiguità. E come nel libro, ogni scena si compie per poi svanire nel nulla.”
Il ricorso ai soprannomi è una costante nella scrittura di Pinto: rende la narrazione più reale e familiare, avvicinando il lettore all’intreccio e ai personaggi. Panzone, Dinamite, Ammazzatopi, come il centurione ne “Il Maestro e Margherita”, animano la storia con una forza simbolica e immediata.
Le descrizioni sono un invito all’osservazione minuziosa, simili a fotogrammi di un film che trasportano il lettore direttamente nelle scene: “Il portone è aperto, l’androne è invaso dai detriti di qual che parete abbattuta e lasciati lì in attesa di chissacché. Un triciclo scassato, con le ruote bucate, riposa in un angolo. Un’auto dalla forma sinuosa si nasconde sotto un telo. Sembrerebbe una spider. Il resto è tutto un’incuria. Eppure, in quel degrado, un dondolo ricoperto di cuscini rosa resiste imperterrito, come il sorriso di un malato che non si rassegna. Due bimbe, che a quell’ora dovrebbero essere a scuola, si dondolano parlando fitto fitto, gli occhi segnati con il rimmel e i capelli ben pettinati. Imbocca le scale…”
Oppure diventano lo strumento per delineare i personaggi: “Le scrivanie sono ingombre di carte, di post-it attaccati qua e là, di ninnoli appesi al pc. Su ognuna c’è una foto. Grazia ha quella del marito, una faccia aperta, sincera, che sorride all’obiettivo. Ruggero ha in cornice la sua famiglia: la moglie, un viso delicato e severo, accanto al faccino vispo e impertinente della loro bambina. Marco sfoggia un suo primo piano col sorriso ampio e accattivante. È un po’ narciso il viceispettore. Enzo, il più giovane della squadra, ha quella del suo cane. Ognuno porta in ufficio un pezzo della sua vita di fuori, uno scampolo di intima serenità, dove rannicchiarsi col pensiero tra crimini, malefatte e soprusi. Soltanto loro due non hanno messo nessuna foto…”
Il linguaggio è sì ricercato, dotto e forbito, ma mai ridondante: la narrazione resta scorrevole, nutrendo il lettore di letteratura autentica, esemplare, che fa la differenza.
Pinto ha, infatti, il pregio di dare vita alle parole con una struttura lineare e al contempo complessa nella sua semplicità, in cui trovano spazio vernacoli, termini del linguaggio moderno, della tecnologia e dei mezzi comunicativi contemporanei, inclusi quelli del mondo di internet e degli influencer.
Non manca l’ironia con espressioni in cui è facile riconoscersi: “Nella sua testa sciorina una lista di bestemmie, lunga come una fila alla Posta il giorno del pagamento della pensione…” Così come non mancano metafore incisive “Ma a dodici anni la stoffa può essere un velo, basta una folata di vento e vola via…” E riflessioni sul mondo attuale: “La nostra è diventata una società liquida, come diceva il caro Bauman. Non ci sono più valori, i ruoli cambiano a seconda della convenienza personale…”
“È finita” non è il solito romanzo giallo, già letto, già visto con commissari, ispettori, poliziotti da cliché. È un luogo narrativo dove si muovono personalità affascinanti, i cui risvolti psicologici, evocativi e comportamentali stimolano riflessioni e approfondimenti.
I dialoghi sono ben ritmati e s’inseriscono nel testo con fluidità, spesso senza l’uso delle virgolette. I punti di vista variano con una straordinaria padronanza tecnica, senza mai intaccare la coerenza narrativa. Si passa dalla narrazione esterna a quella interna: Stefano dialoga con sé stesso e con il suo passato, Irene con la nonna scomparsa. Il lettore si sente coinvolto, partecipe, fino a diventare quasi un personaggio della storia.
Ciro Pinto ancora una volta affascina con la sua scrittura e predispone il lettore a nuove esplorazioni letterarie. I suoi testi sono originali, autentici e di straordinario spessore. Vanno oltre la classificazione di genere, e le citazioni letterarie sono un dono.
Perché allora non concludere con una frase di Bulgakov, fonte di ispirazione di “È finita”?
Che cosa farebbe il tuo Bene, se non esistesse il Male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre?»
Daniela Vellani