“Alma che visse in fondo al mare”, musica, melodie e armonia nel libro di Martin Rua

Avete mai letto un libro dal sapore di mare, dal sapore di amore, dal sapore di passione, dal sapore di un‘isola dai profumi, dalle sue suggestioni e dai colori unici, dal profumo di melodie e di arte e dalla penna raffinata e fascinosa che ti fa entrare nei meandri dell’anima, dell’arte e della natura?

Ecco c’è il libro che fa per voi, c’è il libro per chi ama la lettura di una storia che ti trasporta in una dimensione che oltrepassa tempi e luoghi, c’è il libro per chi ama la musica e soprattutto c’è un libro per chi ama la bellezza in tutte le sue sfaccettature.

Di che si tratta?  Non può che trattarsi dell’ultimo romanzo di Martin RuaAlma che visse in fondo al mare” (Alessandro Polidoro Editore, 412 pagine, euro 16,00)

È un libro di quelli che quando arrivi alla fine ne avverti subito la nostalgia, ti mancano i personaggi e le loro storie, così come i luoghi e le atmosfere e allora ne sfogli ancora le pagine e torni a leggere alcuni passi per regalarti citazioni da ricordare per le emozioni che ti hanno suscitato.

Protagonisti della storia, che si estende in un periodo dal 1945 ai giorni nostri, sono personaggi dal sapore mediterraneo, ma anche americano e caraibico, dai toni a momenti fiabeschi e mitologici, a tratti marqueziani ed esotici. Le vite di Alma, Precious, Napò, ‘o zì Vastiano, Kareem, Regina Assante di Tatisso, Vittoria, Antonio Scotto e altri s’intrecciano nella trama in modo accattivante e magnetico, mossi dal destino, dall’amore e da sentimenti forti e struggenti.

Le vicende legano mondi distanti e al contempo vicini, ancorati nel tempo in un puzzle di anni che lo sfidano, lo oltrepassano, lo fermano. “Alma mise piede sull’isola come se ne avesse preso possesso. Come la sovrana di un regno appena conquistato, la condottiera di un esercito di soldati fedelissimi, o la divinità marina di un antico popolo di naviganti… dopo neanche mezz’ora dal suo arrivo, ci fu chi giurò di vedere i colori delle case diventare più accesi, come se nuove pennellate di vernice li avessero ravvivati…”

Il teatro in cui si svolgono le vicende prevalentemente è Procida. L’isola non è una semplice ambientazione, ma è essa stessa un‘entità pulsante di vita grazie alla penna di Martin Rua che la dipinge dando luogo ad affreschi ricchi che allertano i sensi del lettore e che non trascurano nulla, dai cognomi ai luoghi, dalle tradizioni alle usanze, dal vivo dialetto nei dialoghi agli elementi storico-culturali. “Sorrise, ricordando come lo avesse considerati per anni paesi di fate, prima di imparare che quei posti esistevano davvero.” Attraverso le descrizioni si entra così in strade, piazze, vicoli, spiagge: la Corricella, Terra Murata, Piazza dei Martiri, Santa Maria delle Grazie incoronata, Punta lingua, Via San Rocco, Casale Vascello, monumento di Cristo Santo Redentore, Marina Grande, spiagge di Silurenza, Ciraccio, Ciracciello, Chiaia e Chiaiolella, Vivara, Punta Pioppeto, Capo Bove, punta Cottimo, baia di Pozzo Vecchio, Punta Serra, Punta Solchiaro, Semmarezio, Marina Grande, via Libertà. Si conoscono cognomi tipici del posto come Scampamorte, Scotto di Santillo, Assante di Tatisso, Quaranta, Mazzella, Schiano di Sciabica. Si conoscono gli ex voto, le monache di Casa. Si legge il futuro con i Quadrilli. Si naviga sul Milonga. Si assaporano i ricci e si sondano gli affascinanti fondali marini. Si degustano il vino bianco di Solchiaro e l’agrumetto.

Questa storia è una pietanza gustosa dagli ingredienti diversi abilmente assemblati da uno chef stellato: una ricetta favolosa che fonde armoniosamente arte letteraria, figurativa e scultorea, elementi della natura, creature marine, generi musicali e passioni con l’amore che sconfina, oltrepassa l’oceano e l’America si unisce alla piccola e meravigliosa “isoletta del golfo di Napoli dove era nato nonno Tony”.

Molto interessanti sono le citazioni musicali, un invito ad ascoltarle: il manouche di Djando Reinhardt , i tanghi di Salgàn, Gardel e Piazzolla, il rock di Hendrix.

Non manca uno spaccato su Napoli con i suoi castelli che “flirtano”, il caffè Gambrinus, le sue bellezze artistiche e i riferimenti a Michelangelo da Caravaggio e al Cristo Velato di Sammartino che diventano elementi chiave nell’arte e nella storia di Napoleone Lubrano di Scampamorte, il Caravaggio da Procida, detto Napò, nome che prende origine dal pesce Napoleone del Mar Rosso e che calzerà a pennello col personaggio.

È un libro ricco, intenso, magico che si legge con trasporto ed emozione con quel pizzico di commozione che non guasta, il primo romanzo d’amore di Martin Rua che precedentemente ha scritto due trilogie di thriller esoterici. “Uno sguardo. Dopo tutto era stato solo uno sguardo. Ma, a volte basta anche meno.

 

Daniela Vellani