“Solitudini urbane”, intervista all’autrice M. Evelina Buffa Nazzari

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“Un buco sul pavimento, per via di un problema al riscaldamento, unisce tutte le case di una strana palazzina” è la premessa a “Solitudini urbane”, l’ultimo libro di M. Evelina Buffa Nazzari. Un romanzo antologico accattivante, in cui vengono raccolte 19 storie diverse di persone che all’apparenza non hanno nulla in comune se non vivere nello stesso condominio. Un racconto avvincente, descritto dall’autrice come un romanzo che può raccontare anche che la solitudine può non essere negativa, oppure sì.

 

Figlia d’arte, scrittrice e interprete teatrale e cinematografica, Evelina Nazzari ha scambiato qualche domanda telefonica con noi, dove ci ha raccontato come ha unito teatro e scrittura, e quali sono le varie sfumature della solitudine.

 

Come nasce “Solitudini urbane”?

 

Solitudini urbane è stato un po’ una cosa lunga, ho cominciato tempo fa. A me piace molto guardare la vita degli altri, vedere le finestre che si illuminano nel palazzo di fronte, con quello che prepara la tavola, quello buttato sul letto, e immaginare tutta la storia a riguardo. Quindi, prendendo spunto un po’ da questo, e da un po’ da cose che mi sono successe o mi hanno raccontato, ho elaborato il tutto e sono venuti fuori questi racconti. È una cosa nel tempo, anche perché faccio l’attrice, non la scrittrice. Quindi, diciamo che l’incontro con la scrittura è capitato, ho scoperto quanto è terapeutica, quanto è utile tirare fuori da sé tanti malloppi di dolori e ho cominciato a scrivere per questo motivo. Poi piano piano sono uscite fuori varie cose, tra cui questo un po’ in particolare. Sono racconti staccati l’uno dall’altro, ma se uno li legge tutti insieme è meglio perché c’è un cerchio che si chiude in qualche modo.

 

Un racconto antologico allora…

 

Sì, diciamo che si possono leggere staccati e non succede nulla ma in realtà cronologicamente ti rendi conto che il primo è in realtà collegato con l’ultimo perché aprono e chiudono, ad esempio. Dicevo comunque che in realtà avevo scritto delle cose e la mia amica Gaia Casanova mi aveva chiesto di fare questo podcast “Amore fai presto”, e “Lei, lui, l’altro”, uno dei capitoli del libro, era scritto e così gliel’ho proposto. Insomma, nel tempo poi i capitoli li ho finiti di fatto durante il lockdown perché purtroppo c’è stato più tempo.

 

Quindi possiamo definirlo come un romanzo antologico, dato che ogni capitolo è a se stante, come hai detto, c’è un fil rouge. Che sarebbe?

 

Sì, il fil rouge in realtà è questo buco nel pavimento che non compare sempre, ma si intuisce sempre. È la riparazione di un riscaldamento ed è il concetto: “anche se vogliamo stare soli, in realtà siamo tutti collegati, che ci piaccia o no”, quindi succede che magari l’inquilino di sopra sente le conversazioni di quello di sotto. Ed è una cosa che mi è venuta in mente quando ho fatto questo spettacolo al Teatro di Documenti a Roma, “Il Mutamento”, e con la compagnia si diceva: “Ah, ma hai sentito, c’è uno strano virus in Cina? Ah, ma è lontano”. Abbiamo chiuso lo spettacolo il 1 marzo del 2020 e dopo pochissimi giorni hanno chiuso i teatri e ha chiuso tutto. Un batter d’ali in Cina, col tempo e con un effetto domino, poi arriva da noi. È un po’ questa l’idea che ho, anche volendo star soli siamo collegati tutti quanti da mille fili. Quindi questo filo rosso è il buco nel pavimento. Poi ci sono le storie, i personaggi che sono persone di tutti i giorni, che vivono nei palazzi e hanno i loro percorsi e le loro vite più o meno disperate.

 

Storie di vita ordinaria e, allo stesso tempo, eccezionali…

 

Per noi la nostra vita è sempre eccezionale, è la nostra. Ho scritto un libro qualche anno fa a cui tengo molto, perché un po’ più autobiografico, che si intitola “Spesso sono arrivata seconda”, il cui sottotitolo è “Vagabondaggi autobiografici di un granello di sabbia”. Siamo tutti granelli di sabbia, salvo tu non abbia fatto la storia, nel bene o nel male, non sarei ricordato. Ma noi siamo orgogliosi di essere quel granello di sabbia, che fa quelle cose lì, che ha detto qualcosa a qualcuno a cui è servito sentire quella cosa. Abbiamo tutti un senso, nessuno è veramente determinante ma tutti facciamo la storia. Tutti insieme facciamo la storia. È un tema che mi parla.

 

Possiamo dire che mentre lì era un lavoro complessivo sull’identità della persona, qui vai a scavare oltre, verso la solitudine dell’essere, che è consapevole di essere una parte del tutto, ma al tempo stesso si sente solo.

 

A volte si sente solo perché la vita lo costringe ad essere solo, ma altre volte la cerca la solitudine, la vuole, ne ha bisogno. C’è la storia di tre fratelli anziani, due sorelle e un fratello, che vivono tutti insieme e, a un certo punto, una delle due sorelle si sente male e va in ospedale. La sorella che resta a casa, che si è sempre sentita un po’ succube, è finalmente contenta di andare a fare la spesa da sola, di non avere nessuno che le dice cosa deve comprare: la solitudine in fondo la aspettava da settant’anni. A volte la cerchi, la vorresti, altre volte ti è imposta. La solitudine non ha sempre un’accezione negativa per quanto mi riguarda. Fra l’altro, ho vissuto tanti anni in campagna e la solitudine lì la trovo molto più angosciosa perché non hai altre possibilità. C’è la natura, sì, ma sarà che preferisco gli essere umani, ma preferisco sapere di essere nella mia casa e se in un momento ho bisogno, esco e vado in mezzo alla gente, vedo persone e questo mi distrae molto più di altro. Ogni tanto c’è bisogno, uno va e se la cerca la solitudine nella natura, e va bene, però il rischio di un momento di angoscia e depressione, in campagna, nel silenzio vero, è più malinconico e più pericoloso quasi, secondo me.

 

Il lettore quando si trova davanti “Solitudini urbane” cosa recepirà?

 

Quello che dico sempre è “Un attore non esiste se non ha il pubblico”, così anche uno scrittore non esiste se non ha dei lettori. È un qualcosa che si completa, con qualcuno che ti legge e che ti legge come vuole lui e recepisce quello che sente lui, per completamento ogni volta diverso. Io scrivo una cosa perché penso quella e sai quante volte mi è capitato che mi abbiano detto: “Ah, quella cosa lì mi ha fatto pensare a… Beh, a me no!”. Ma benissimo così, io non so cosa ognuno recepisce. Io ho raccontato storie di esseri umani perché gli essere umani, facendone io parte, sono un tema che mi interessa: i caratteri, le psicologie, le persone, le emozioni. Quindi io ti ho passato questo, però se tu hai capito cose diverse da quelle che io ho scritto, va benissimo, l’importante è che ti sia arrivato qualcosa. Poi magari può anche lasciare indifferenti. È il completamento che in mano al lettore, che sentirà quello che arriva a lui secondo la sua psicologia, il suo carattere. Io racconto storie di persone e se uno è curioso degli esseri umani come lo sono io, qualcosa di stimolante troverà.

 

Avevo una curiosità: sei un’attrice, quanto influenza il tuo lavoro da attrice sulla scrittura?

 

Molti mi hanno chiesto se l’ho pensato anche come possibile sceneggiatura di un film o di un testo teatrale. In questo caso particolare, ma forse anche altre volte, ma in questo caso, scrivendo sentivo parlare: spesso sono monologhi interiori, non sempre in prima persona, quindi sentivo parlare questi personaggi. Penso di essere influenzata, perché lo vedo: lo vedo agire, parlare, lo sento muoversi. Penso che influisca, ma credo anche che sia tutto molto mescolato alla fine, poiché noi recitiamo cose scritte da altri, quindi sicuramente incide il fatto di essere un’attrice. Tra l’altro, in un punto, si parla di un paio di personaggi che sono attrici, quindi sì, senz’altro. Poi cosa influisca veramente, come si mescola, è difficile da dire. Non siamo mai a scompartimenti stagni, siamo sempre una fusione di tante sensazioni, quindi probabilmente c’è anche quella.

 

È una cosa che mi incuriosiva. La premessa è di storie inventate, che hai ascoltato o creato, ma descrivono sensazioni reali vissute. Nel descrivere questa realtà che è fantasia, l’uscire fuori dal mondo e aggrapparsi all’immaginario può aiutare ad evadere da questa sensazione?

 

Sì, certo, è evasione, riflessione. A me la scrittura mi ha salvato la vita, principalmente la lettura perché leggo da molto più di quanto scrivo, ma è fondamentale, è un salvavita la lettura e di conseguenza anche la scrittura ti fa andare da un’altra parte. Anche recitare, diventare altro da sé, è terapeutico e ti fa viaggiare. Son tutti escamotage per noi essere umani di sfuggire alla concretezza dei nostri dolori, della vita che non è sempre quello che tu avresti immaginato.

 

Pensi che così come hai lavorato con Solitudini urbane su questo concetto, potrebbe esserci un seguito, o qualcosa con un fil rouge simile per raccontare altre storie?

 

Sì, non lo posso escludere. Io ogni volta che scrivo una cosa, che poi non sono così tante, penso sempre che sia l’ultima volta che scrivo perché non è il mio lavoro, il mio lavoro è un altro. Però è vero che poi sono stata travolta dal bisogno di tirare fuori sensazioni, emozioni, ansie. Quindi chi lo sa, magari scriverò qualcosa di simile magari qualcosa di completamente diverso. In questo momento per me questo è l’ultimo libro che scrivo.

 

Quindi la risposta sui progetti futuri, almeno a livello letterario, è un no.

 

No, ma il progetto vero è questo spettacolo che ho scritto e ho già rappresentato che s’intitola “Torna fra nove mesi”. È un atto unico per due attrici che, appunto ho già fatto, e riprenderò al Teatro di Documenti nella stagione prossima ed è racchiuso in un volume che si intitola “Altrove”, insieme ad un altro atto unico. Però sì, se se devo parlare di progetti, “Torna fra nove mesi” è quello che ho in testa, a cui tengo moltissimo e voglio riprenderlo perché è uno spettacolo valido. Di solito non sono il tipo che fa promozione, a meno che non penso che ne valga la pena. È difficile fare teatro in Italia, ma mi sto impegnando per riprendere questo.

 

Di cosa parla lo spettacolo?

 

Sono due donne che parlano del lutto più grande che un essere umano possa vivere, cioè la perdita di un figlio. Sono due donne, ma sono un po’ la stessa voce. Siccome tutto nella vita si può affrontare in tanti modi, ci può essere rabbia, angoscia, depressione; le persone possono vivere al loro interno tante, tante cose, poiché in una vita puoi vivere tante cose in vari modi a seconda del momento, quindi sono due voci ma potrebbero essere dieci. Sono due attrici che vivono questo dolore, ma c’è anche dell’ironia, per un testo molto forte. Già venne molto bene, grazie alla regia di Angelo Libri e alla mia partner Maddalena Recino, bravissima attrice, con la quale abbiamo fatto una cosa molto bell ma che è stata un po’ abbandonata. Ma abbiamo deciso di riprenderlo perché vale la pena proporlo ancora.

 

Speriamo allora di poterlo vedere presto in scena!

 

Roberta Fusco

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