Favolacce, brividi e forti emozioni, all’Arena Spartacus Festival per il film dei fratelli D’Innocenzo

foto Giuseppe Panza

Favolacce, il film dei fratelli D’Innocenzo, premiato a Berlino per la Miglior sceneggiatura, è stato tra i film dell’Arena Spartacus Festival. Martedì 11 agosto è stato proiettato nella parte antistante l’Anfiteatro Romano di Santa Maria Capua Vetere (CE).

In uno scenario suggestivo e nella calda serata d’agosto, il film dei D’Innocenzo ha provocato non pochi brividi agli spettatori, messi davanti ad una realtà cruda e crudele, senza sconti. Il film racconta di una periferia romana, dove una piccola comunità di famiglie si sforza o si illude di vivere le giornate in maniera apparentemente normale. Ma, in breve tempo, emerge tutto il sadismo dei padri, la passiva remissione delle madri e l’atroce disperazione dei figli.

La voce fuori campo (Max Tortora), a inizio film, spiega che è stato trovato un diario, e da questo nasce il film che “è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa e la storia falsa non è molto ispirata”. Il diario ritrovato è stato scritto con una penna verde, solo che la storia ad un certo punto si interrompe bruscamente, ma perché? E a chi può appartenere quel diario? Quelle verità sono tali o sono “solo” racconti?

Il film tiene le redini in mano, lo spettatore si deve aspettare le risposte, che alla fine arriveranno, ma non sono risposte date per far piacere, assolutamente.

Favolacce non è un film per tutti, ma i fratelli D’Innocenzo sono riusciti a fornire dettagli in ogni aspetto, con particolar riguardo per la regia e per i personaggi.

I personaggi, grazie alla bravura di alcuni attori, sono tutti molto credibili, sia gli attori adulti che i bambini riescono a trasmettere la ricchezza e lo spessore dei loro personaggi, che, di fatto, non passano inosservati. Il punto di forza del film, premiato a Berlino con l’Orso d’Argento, è la sceneggiatura, a volte contrastante, innovativa e, a tratti di non facile comprensione.

Un micromondo nel quale si vive tutto il dramma della vita contemporanea: l’incomunicabilità e la sofferenza. Un gruppo di famiglie apparentemente unite, condividono cene, pranzi, vacanze, ma non riescono a gestire rabbia, invidia e solitudine, riversando le loro frustrazioni sui figli, che sono la parte debole della catena, che come accade spesso, vengono spinti dalla loro disperazione ed emarginazione ad emulare un mondo adulto che loro malgrado sono costretti a vivere. Favolacce è la “storia” che nessuno vuole sentirsi raccontare, perché nel bene e nel male ti fa pensare che magari un po’ ci sei anche tu in quella favola brutta. Sì, perché quando ci si gira dall’altra parte, quando ci si ostina a non voler vedere, beh, in qualche modo… in quelle Favolacce ci siamo tutti, no?

 

Paola Improda

 

Il film, la trama:

Favolacce, film diretto da Damiano e Fabio D’Innocenzo, è una favola dark ambientata nella periferia meridionale di Roma, uno spazio suburbano isolato, nel quale ogni cosa è talmente banale da diventare monotona, mentre la vita scivola via insipida. Qui vive una piccola comunità di famiglie e i loro giovanissimi figli, che all’età di 12 anni iniziano ad affacciarsi all’adolescenza. Protagonista della storia è una famiglia composta da Bruno (Elio Germano), Dalia (Barbara Chichiarelli) e i loro diligenti figli dodicenni, che frequentano la scuola della zona. Questo normalissimo e tranquillo ritratto di famiglia nasconde, però, un’irrequietezza per nulla confortante e che, come un castello di carte, rimane in piedi in un equilibrio precario, che rischia di venire a mancare con la prima folata di vento. I figli della coppia, infatti, sono dei buoni studenti, cosa che renderebbe orgoglioso ogni genitore, ma i ragazzi non sono felici, si sentono soli. Vittime della passività colpevole degli adulti, i giovani sentono una profonda angoscia e uno sconforto che si tramuta velocemente in rabbia. Sono incastrati nella vita ideale voluta dai genitori, che non hanno capito che la felicità non si può costruire artificialmente.