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Capua, si è conclusa, con Garrone, la X edizione di “Capua il Luogo della Lingua Festival”

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Ieri, nella bella cornice di Palazzo Lanza, si è conclusa la X edizione di “Capua il Luogo della Lingua Festival”. Nei week end, dal 13 al 28 giugno 2015, si sono susseguite giornate di letteratura, cinema, teatro, arte e gastronomia con incontri di alto spessore culturale, che il Festival propone da ben dieci anni nella sede di Ex Libris di Corso Gran Priorato di Malta. L’evento è stato organizzato dall’associazione Architempo con il sostegno di C.R.E.S.O. e degli assessorati alla Cultura e Marketing territoriale con l’obiettivo di promuovere la centralità culturale della Città di Capua.
Quest’anno hanno animato l’edizione numerosi ospiti di eccezione, tra cui ricordiamo gli scrittori Antonio Pascale, Giuseppe Montesano, Diego De Silva, Pino Imperatore, le attrici Gea Martire e Valeria Mazza, musicisti come M’Barca Ben Takeb e i Cantori Neapolitani del Teatro San Carlo e, nella serata conclusiva di domenica 28 giugno, il regista Matteo Garrone.
L’appuntamento di ieri era stato organizzato in collaborazione con Caserta FilmLab.  Giuseppe Montesano ha, sapientemente, presentato l’ospite della serata Matteo Garrone, in particolare, illustrando il suo ultimo film “Il racconto dei racconti”, grazie alla sua abile illustrazione del libro “Lo cunto de li cunti” di Basile, a cui si è ispirato il regista. Montesano delucida, in primis, l’inganno del sottotitolo (ovvero ‘Lo trattenemiento de peccerille’ ) del testo di Basile, le cui storie indubbiamente non sono affatto per bambini ma terribili storie per adulti. Da qui sviscera il piacere della trasformazione, continuamente proposta da Basile, e presente in tutte e tre le storie del film (La pulce, la vecchia, la madre ) e a queste metamorfosi lega l’ultimo lavoro di Garrone ad un’altra sua pellicola, apparentemente lontana da questa “fiaba”, che è “ L’imbalsamatore”.

Garrone spiega il processo di trasformazione di una storia durante la trasposizione dal libro alla sceneggiatura ma anche dal passaggio da quest’ultima alle riprese. Il regista parla di quanto sia importante contestualizzare le riprese rispetto al posto in cui si gira e illustra il modo in cui la storia si è modificata rispetto ai luoghi scelti, come la scena del labirinto di Donnafugata, che non è presente nel libro, ma imperdibile per la bellezza delle immagini ricavabili. Provenendo da un passato pittorico, Garrone spiega con questo l’importanza delle immagini per il suo cinema.  Ci parla della grande difficoltà di girare un film molto ricco di effetti speciali, in cui la presenza dei green non lascia vedere al regista l’immagine, del disagio provato nell’avere una troupe così ampia, per lui abituato a lavorare con piccoli staff.
Montesano ha evidenziato l’importanza, per il cinema attuale, di conservare la capacità di sorprendere che era propria del primo cinema, anzi rimarca la necessità di un pubblico che richieda questa sorpresa, che non si accontenti. Critica, poi, il cinema ripetitivo che pigramente non rispetta la caratteristica principale che deve avere un’opera d’arte, quella di lasciare il segno, come il “terzo occhio” che apre la lettura di un buon libro.
Durante la serata sono stati proiettati diversi retroscena del lavoro del regista in questo suo ultimo film. Egli stesso ha ammesso della tensione che lo ha accompagnato durante tutto il periodo, del timore di proporre un lavoro che fosse né di stampo commerciale né sufficientemente connotato. Paragonando l’arteficio, di cui è colma una pellicola come “Il racconto dei racconti”, alla evidente necessità della totale assenza di esso in film come “Gomorra” e la scelta di un “non-luogo” dello stampo quasi fiabesco per “L’imbalsamatore”, come la location del villaggio dei Ragazzi di Maddaloni, Garrone lega, a partire dalle differenze, i suoi lavori, trovandone un comune denominatore di un genere noir. Alla fine, superando dubbi e difficoltà di quello che apparentemente non sembrava un lavoro che potesse appartenergli, si è detto contento del “Racconto dei racconti” che riconosce e sente appartenergli tanto quanto gli altri suoi lavori.

Lucia Dello Iacovo